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Il Common Security Advisory Framework (CSAF) è un sistema progettato per fornire avvisi di sicurezza leggibili dalle macchine attraverso un processo standardizzato che facilita la condivisione automatizzata delle informazioni sulla sicurezza informatica. Greenbone sta attivamente lavorando per integrare tecnologie basate sullo standard CSAF 2.0 con l’obiettivo di automatizzare gli avvisi di sicurezza informatica. Per un’introduzione a CSAF 2.0 e una panoramica dei benefici che apporta alla gestione delle vulnerabilità, ti invitiamo a consultare il nostro .

Nel 2024, l’interruzione del NIST National Vulnerabilities Database (NVD)  ha di dati critici verso i consumatori a valle, sottolineando la necessità di soluzioni più resilienti e distribuite. Il modello CSAF 2.0 decentralizzato si dimostra particolarmente rilevante in questo contesto, offrendo un quadro di condivisione delle informazioni che elimina la dipendenza da un singolo punto di errore. Grazie alla sua capacità di aggregare dati da una varietà di fonti affidabili, CSAF 2.0 garantisce una continuità operativa e una maggiore affidabilità nella distribuzione degli avvisi di sicurezza.


Indice

1. Di cosa parleremo in questo articolo
2. Chi sono gli stakeholder di CSAF?
2.1. I ruoli nel protocollo CSAF 2.0
2.1.1. Soggetti emittenti di CSAF 2.0
2.1.1.1. Il ruolo di editore di CSAF
2.1.1.2. Il ruolo di fornitore di CSAF
2.1.1.3. Il ruolo di trusted-provider di CSAF
2.1.2. Aggregatori di dati CSAF 2.0
2.1.2.1. Il ruolo di lister CSAF
2.1.2.2. Il ruolo di aggregatore CSAF
3. Conclusione


1. Di cosa parleremo in questo articolo

Questo articolo vuole approfondire quali sono gli stakeholder e i ruoli definiti nella specifica CSAF 2.0, che governano i meccanismi di creazione, diffusione e consumo degli avvisi di sicurezza all’interno dell’ecosistema CSAF 2.0. Comprendere chi sono gli stakeholder di CSAF e come i ruoli standardizzati definiti dal framework influenzano l’intero ciclo di vita delle informazioni sulle vulnerabilità è essenziale per i professionisti della sicurezza. Questo approfondimento aiuterà a comprendere meglio come funziona CSAF, come può essere utile per la propria organizzazione e come implementarlo efficacemente nel contesto della gestione delle vulnerabilità.

2. Chi sono gli stakeholder di CSAF?

A livello generale, il processo CSAF coinvolge due principali gruppi di stakeholder: i produttori a monte, che creano e distribuiscono avvisi di sicurezza informatica nel formato CSAF 2.0, e i consumatori a valle (utenti finali), che utilizzano questi avvisi per implementare le informazioni di sicurezza in essi contenute.

I produttori a monte includono fornitori di software come Cisco, e Oracle responsabili della sicurezza dei loro prodotti digitali e della divulgazione pubblica delle vulnerabilità identificate. Tra gli stakeholder a monte si annoverano anche ricercatori indipendenti e agenzie pubbliche come la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA) negli Stati Uniti e l’Ufficio federale tedesco per la sicurezza delle informazioni (BSI), che fungono da fonti autorevoli per l’intelligence sulla sicurezza informatica.

I consumatori a valle includono sia società private che gestiscono direttamente la propria sicurezza informatica, sia , ovvero fornitori esterni che offrono servizi di monitoraggio e gestione della sicurezza in outsourcing. A valle, i team di sicurezza IT utilizzano le informazioni contenute nei documenti CSAF 2.0 per individuare vulnerabilità nell’infrastruttura e pianificare interventi di mitigazione. Allo stesso tempo, i dirigenti aziendali sfruttano questi dati per comprendere come i rischi IT potrebbero sulle operazioni aziendali.

Diagramma che illustra i portatori di interesse del CSAF 2.0: i produttori a monte, come fornitori di software e enti pubblici, forniscono avvisi di sicurezza nel formato CSAF 2.0, utilizzati dai consumatori a valle, tra cui organizzazioni private, CERT governativi e provider di sicurezza.

Flusso CSAF 2.0 dai produttori a monte ai consumatori a valle per avvisi di sicurezza di base

Lo standard CSAF 2.0 definisce ruoli specifici per i produttori a monte che delineano la loro partecipazione alla creazione e alla diffusione di documenti informativi. Esaminiamo più in dettaglio questi ruoli ufficialmente definiti.

2.1. I ruoli nel protocollo CSAF 2.0

I ruoli CSAF 2.0 sono definiti nella sezione 7.2. Si dividono in due gruppi distinti: i soggetti emittenti (“emittenti”) e gli aggregatori di dati (“aggregatori”). Gli emittenti sono direttamente coinvolti nella creazione di documenti informativi. Gli aggregatori raccolgono i documenti CSAF e li distribuiscono agli utenti finali, facilitando l’automazione per i consumatori. Sebbene una singola organizzazione possa ricoprire sia il ruolo di Emittente che quello di Aggregatore, è importante che queste due funzioni operino come entità distinte.  Inoltre, le organizzazioni che agiscono come produttori a monte devono anche garantire la propria sicurezza informatica. Per questo motivo, possono svolgere il ruolo di consumatori a valle, utilizzando i documenti CSAF 2.0 per sostenere le proprie attività di gestione delle vulnerabilità.

Diagramma dei ruoli a monte nel protocollo CSAF 2.0: i soggetti emittenti (Producer, Provider, Trusted Provider) creano documenti, mentre gli aggregatori di dati (Lister, Aggregator) li raccolgono e distribuiscono ai consumatori a valle.

Diagramma che illustra la relazione tra i soggetti emittenti e gli aggregatori di dati CSAF 2.0.

Di seguito esaminiamo le responsabilità specifiche dei soggetti emittenti e degli aggregatori di dati CSAF 2.0.

2.1.1. Soggetti emittenti di CSAF 2.0

I soggetti emittenti sono responsabili della creazione degli avvisi di sicurezza informatica CSAF 2.0. Tuttavia, non sono responsabili per la trasmissione dei documenti agli utenti finali. Se i soggetti emittenti non desiderano che i loro avvisi vengano elencati o replicati dagli aggregatori di dati lo devono segnalare. Inoltre, i soggetti emittenti di CSAF 2.0 possono anche svolgere il ruolo di aggregatori di dati.

Di seguito le spiegazioni di ciascun ruolo secondario all’interno del gruppo dei soggetti emittenti:

2.1.1.1. Il ruolo di editore di CSAF

Gli editori sono generalmente organizzazioni che scoprono e comunicano avvisi esclusivamente per i propri prodotti digitali. Per adempiere al loro ruolo, gli editori devono rispettare i requisiti da 1 a 4 della sezione 7.1 della specifica CSAF 2.0. Questo implica la creazione di file strutturati con sintassi e contenuti validi, conformi alle convenzioni sui nomi dei file CSAF 2.0 descritte nella sezione 5.1, e la garanzia che i file siano accessibili solo tramite connessioni TLS crittografate. Inoltre, gli editori devono rendere pubblici tutti gli avvisi classificati come TLP:WHITE.

Gli editori devono inoltre mettere a disposizione del pubblico un documento provider-metadata.json contenente informazioni di base sull’organizzazione, sul suo stato di ruolo CSAF 2.0 e sui collegamenti a una chiave pubblica OpenPGP utilizzata per firmare digitalmente il documento provider-metadata.json e verificarne l’integrità. Queste informazioni vengono utilizzate da applicazioni software che, a valle, visualizzano gli avvisi dell’editore agli utenti finali.

2.1.1.2. Il ruolo di fornitore di CSAF

I fornitori rendono disponibili i documenti CSAF 2.0 alla comunità più ampia. Oltre a soddisfare gli stessi requisiti di un editore, un fornitore deve fornire il proprio file provider-metadata.json seguendo un metodo standardizzato (soddisfacendo almeno uno dei requisiti da 8 a 10 della sezione 7.1), utilizzare una distribuzione standardizzata per i suoi avvisi e implementare controlli tecnici per limitare l’accesso a qualsiasi documento informativo classificato come TLP:AMBER or TLP:RED.

I fornitori devono anche scegliere un metodo di distribuzione basato su directory o su ROLIE. In breve, la distribuzione basata su directory rende disponibili i documenti informativi all’interno di una normale struttura di percorsi di directory, mentre ROLIE (Resource-Oriented Lightweight Information Exchange) [RFC-8322] è un protocollo API RESTful progettato specificamente per automatizzare la sicurezza, la pubblicazione, la scoperta e la condivisione delle informazioni.

Se un fornitore utilizza la distribuzione basata su ROLIE, deve anche soddisfare i requisiti da 15 a 17 dalla sezione 7.1. In alternativa, se un fornitore utilizza la distribuzione basata su directory, deve rispettare i requisiti da 11 a 14 della sezione 7.1.

2.1.1.3. Il ruolo di trusted-provider di CSAF

I Trusted Provider sono una categoria speciale di provider CSAF che hanno raggiunto un elevato livello di fiducia e affidabilità. Devono rispettare rigorosi standard di sicurezza e qualità per garantire l’integrità dei documenti CSAF che emettono.

Oltre a soddisfare tutti i requisiti di un fornitore CSAF, i Trusted Provider devono anche rispettare i requisiti da 18 a 20 della sezione 7.1 della specifica CSAF 2.0. Questi requisiti comprendono la fornitura di un hash crittografico sicuro e di un file di firma OpenPGP per ciascun documento CSAF emesso, nonché la garanzia che la parte pubblica della chiave di firma OpenPGP sia resa pubblicamente disponibile.

2.1.2. Aggregatori di dati CSAF 2.0

Gli aggregatori di dati si occupano della raccolta e della ridistribuzione dei documenti CSAF. Funzionano come directory per gli emittenti CSAF 2.0 e i loro documenti informativi, fungendo da intermediari tra gli emittenti e gli utenti finali. Una singola entità può svolgere sia il ruolo di Lister che di aggregatore CSAF. Gli aggregatori di dati hanno la possibilità di scegliere quali avvisi degli editori upstream elencare, raccogliere e ridistribuire, in base alle esigenze dei loro clienti.

Di seguito la spiegazione di ciascun ruolo secondario all’interno del gruppo degli aggregatori di dati:

2.1.2.1. Il ruolo di lister CSAF

I lister raccolgono i documenti CSAF da più editori CSAF e li elencano in una posizione centralizzata per facilitarne il recupero. L’obiettivo di un lister è fungere da directory per gli avvisi CSAF 2.0, consolidando gli URL attraverso cui è possibile accedere ai documenti CSAF. Si presume che nessun lister fornisca un set completo di tutti i documenti CSAF.

I lister devono pubblicare un file aggregator.json valido che elenchi almeno due entità CSAF Provider separate. Sebbene un lister possa anche agire come parte emittente, non può elencare mirror che puntano a un dominio sotto il proprio controllo.

2.1.2.2. Il ruolo di aggregatore CSAF

Il ruolo di CSAF Aggregator rappresenta il punto finale di raccolta tra i documenti informativi CSAF 2.0 pubblicati e l’utente finale.  Gli aggregatori offrono una posizione in cui i documenti CSAF possono essere recuperati da strumenti automatizzati. Sebbene gli aggregatori agiscano come una fonte consolidata di avvisi di sicurezza informatica, simile al NIST NVD o al CVE.org di The MITRE Corporation, CSAF 2.0 adotta un modello decentralizzato, in contrasto con un approccio centralizzato. Gli aggregatori non sono obbligati a fornire un elenco completo di documenti CSAF di tutti gli editori. Inoltre, gli editori possono scegliere di offrire l’accesso gratuito al loro feed di consulenza CSAF o di operare come servizio a pagamento.

Analogamente ai lister, gli aggregatori devono rendere un file aggregator.json disponibile pubblicamente. Inoltre, i documenti CSAF di ciascun emittente con mirroring devono essere organizzati in una cartella dedicata separata, contenente anche il file provider-metadata.json dell’emittente. Per adempiere al loro ruolo, gli aggregatori devono rispettare i requisiti da 1 a 6 e da 21 a 23 della sezione 7.1 della specifica CSAF 2.0.

Gli aggregatori CSAF sono responsabili di verificare che ogni documento CSAF replicato abbia una firma valida (requisito 19) e un hash crittografico sicuro (requisito 18). Se il soggetto emittente non fornisce questi file, l’aggregatore deve generarli.

3. Conclusione

Comprendere gli stakeholder e i ruoli di CSAF 2.0 è fondamentale per implementare correttamente la specifica e sfruttare i vantaggi della raccolta e del consumo automatizzati di informazioni critiche sulla sicurezza informatica. CSAF 2.0 identifica due principali gruppi di stakeholder: i produttori a monte, responsabili della creazione di avvisi di sicurezza, e i consumatori a valle, che utilizzano queste informazioni per migliorare la sicurezza. I ruoli definiti includono i soggetti emittenti (editori, fornitori e fornitori di fiducia) che generano e distribuiscono avvisi, e gli aggregatori di dati (lister e aggregatori) che raccolgono e diffondono questi avvisi agli utenti finali.

I membri di ogni ruolo devono rispettare specifici controlli di sicurezza per garantire la trasmissione sicura dei documenti CSAF 2.0.  Inoltre, il Traffic Light Protocol (TLP) regola le modalità di condivisione dei documenti e definisce i controlli di accesso necessari per rispettare le autorizzazioni di distribuzione.

Un servizio essenziale smette di funzionare, un’applicazione non risponde più o l’accesso al proprio sistema si blocca: ecco quello che può succedere durante un attacco DoS (Denial of Service). Gli attacchi DoS hanno un obiettivo chiaro e letale, ad esempio paralizzare le risorse digitali impedendo agli utenti di accedervi o provocare un crash totale. Le conseguenze possono essere molto gravi: da periodi di fermo a interruzioni del servizio fino a perdite economiche e rischi importanti per tutto l’ente o l’azienda.

Gli attacchi DoS sono ormai da molti anni e comportano conseguenze gravi per aziende, e . Si utilizzano anche in molto sofisticate o per ed estorcere loro del denaro. Ma cosa si nasconde dietro a questi attacchi e come proteggersi?

Una minaccia in costante crescita

Esistono vari modi per provocare un attacco Dos. Ad esempio, gli hacker possono usare un accesso non autorizzato e bloccare il sistema [T1529], oppure possono sfruttare falle nella logica dell’applicazione per mandare in crash il sistema da remoto o sovraccaricare la rete con traffico eccessivo per esaurire le risorse. Bloccare l’accesso agli account [T1531], distruggere i dati [T1485] o avviare un ransomware [T1486] sono altri metodi a disposizione per ostacolare ulteriormente il ripristino del sistema [T1490] o distrarre da altri attacchi chi è già impegnato nella difesa. Al contempo, il blocco dei servizi critici comporta un aumento delle vulnerabilità e nuovi attacchi informatici: se un antivirus smette di funzionare, i malware possono entrare indisturbati nella rete. Se i servizi di backup non funzionano, diventa impossibile ripristinare completamente il sistema dopo un attacco ransomware. Insomma: un circolo vizioso.

Spesso gli attacchi DoS sfruttano esposizioni già note

Spesso gli attacchi DoS sfruttano le vulnerabilità presenti nelle specifiche dei protocolli di rete, nelle implementazioni scorrette dei protocolli, nella logica errata delle applicazioni software o nelle configurazioni errate. Alcune falle a livello software che spianano la strada agli attacchi DoS sono:

  • Consumo di risorse fuori controllo
  • Buffer overflow
  • Memory leak
  • Gestione scorretta degli errori
  • Consumo asimmetrico di risorse (amplificazione)
  • Impossibilità di rilasciare una risorsa dopo l’uso

Quando i fornitori si accorgono di vulnerabilità del genere, si affrettano a creare delle patch. Ma solo gli utenti che le installano sono protetti. Scansionando le superfici della rete e dell’host che potrebbero subire un attacco, i responsabili IT possono conoscere il rischio di attacchi DoS e altri tipi di vulnerabilità. Una volta ricevuta l’informazione, chi difende può agire applicando gli aggiornamenti o modificando le configurazioni che presentano falle di sicurezza.

Tipologie di attacchi DoS

Gli attacchi DoS possono utilizzare una serie di tecniche diverse, ad esempio intasare le reti con traffico eccessivo, sfruttare le vulnerabilità dei software o manipolare funzioni a livello di applicazione. Capire il funzionamento e l’impatto potenziale degli attacchi DoS è essenziale affinché enti e aziende sviluppino strategie di difesa complete e riducano l’insorgere di questi problemi.

Le categorie principali di attacchi DoS comprendono:

  • Attacchi DoS volumetrici: gli attacchi DoS volumetrici sovraccaricano la banda di rete o le risorse di computazione come CPU e RAM con volumi elevati di traffico, impedendo così alla rete di svolgere la sua normale funzione.
  • Attacchi DoS a livello di applicazione e protocollo: questi attacchi si concentrano sulle vulnerabilità all’interno delle applicazioni software o dei protocolli di rete che potrebbero trovarsi in qualunque strato dello stack protocollare. Gli hacker sfruttano le falle nelle specifiche di protocollo, nella logica errata dell’applicazione e nelle configurazioni di sistema per destabilizzare o mandare in crash l’obiettivo.
  • Attacchi DoS di amplificazione: gli attacchi di amplificazione sfruttano protocolli specifici che generano una risposta maggiore rispetto alla richiesta iniziale. Gli hacker inviano query di piccole dimensioni al target che risponde con pacchetti grandi. Questa tattica amplifica di molto l’impatto sulla vittima che può arrivare a 100 volte le dimensioni della richiesta iniziale.
  • Attacchi DoS di riflessione: il cybercriminale invia una richiesta a un servizio, ma sostituisce l’indirizzo IP sorgente con quello della vittima. Il server invia quindi la risposta alla vittima, “riflettendo” come in uno specchio le richieste costruite dall’hacker. Di solito gli attacchi di riflessione fanno affidamento sull’UDP (User Datagram Protocol) a causa della sua natura priva di connessioni. Rispetto ai servizi TCP (Transmission Control Protocol), quelli UDP non verificano automaticamente l’indirizzo IP sorgente dei dati che ricevono.
  • Attacchi DoS delocalizzati (DDos): gli attacchi DDos sfruttano grandi gruppi di dispositivi compromessi (chiamati spesso ) per inviare quantità smisurate di traffico a un obiettivo. Le botnet sono composte da server web hackerati o router SOHO (Small Office, Home Office) sparsi in tutto il mondo e sono controllate a livello centrale da chi mette in atto la minaccia informatica. La natura delocalizzata degli attacchi DDoS li rende più difficile da mitigare perché il traffico nocivo proviene da numerosi indirizzi IP diversi. In questo modo diventa difficile distinguere gli utenti legittimi e impossibile bloccare il grande numero di indirizzi IP univoci delle botnet.

Greenbone contro i crash di sistema

Le agenzie governative di cybersecurity di tutti i paesi NATO, come , Stati Uniti e Canada segnalano che il vulnerability management è una priorità per difendersi dagli attacchi DoS. Greenbone scansiona le vulnerabilità note, aiutando così a escludere gli attacchi DoS e identificando anche i casi in cui l’errore umano contribuisce al problema rilevando configurazioni errate ed effettuando controlli dei benchmark CIS. Inoltre, Greenbone aggiorna ogni giorno i propri test di vulnerabilità e aiuta così a individuare le vulnerabilità più recenti che consentono agli attacchi DoS di andare a buon fine.

Greenbone comprende test di vulnerabilità nella categoria Denial of Service. Anche altri gruppi di test comprendono l’identificazione DoS come: database DoS test, web application DoS test, web server DoS test, Windows DoS test [1][2] e il rilevamento DoS specifico per molti prodotti di reti aziendali come Cisco, F5, Juniper Networks, Palo Alto e altri ancora. Con Greenbone che scansiona le tue reti e gli endpoint, hai accesso a più di 4.900 test in grado di rilevare falle DoS.

Inoltre, quando la protezione Greenbone’s “Safe Checks” per una scan configuration è disabilitata, il nostro sistema di scansione esegue attacchi attivi simulati come quelli DoS di amplificazione. Questi test comportano maggiori rischi, come l’aumento della probabilità di un’interruzione di servizio, per cui la funzionalità Safe Checks è abilitata di default in modo che questa serie estesa di scansioni invasive sia eseguita solo se configurata appositamente.

Anche se nessun sistema di mitigazione del rischio informatico è in grado di garantire una protezione completa da tutti gli attacchi DoS (ad esempio attacchi DDoS volumetrici), sicuramente identificare e mitigare in modo proattivo le esposizioni note permette di chiudere le falle che renderebbero un sistema un bersaglio facile. Eliminando le vulnerabilità conosciute dall’infrastruttura IT, un’azienda o un ente possono inoltre evitare di diventare parte del problema: spesso le strutture IT già infette sono usate dagli hacker per ulteriori attacchi DDoS contro terzi.

Riassunto

Gli attacchi DoS (Denial of Service) puntano a mettere fuori uso i sistemi IT sovraccaricandoli di traffico o sfruttano vulnerabilità note a livello software. Greenbone offre soluzioni complete di vulnerability assessment che identificano punti di entrata potenziali per gli attacchi DoS e consentono così a enti e aziende di rafforzare le proprie difese e minimizzare i rischi. Con una gestione proattiva delle vulnerabilità e un monitoraggio continuo, Greenbone aiuta imprese e organismi a individuare e mitigare l’impatto di attacchi DoS potenzialmente devastanti.

OpenVAS nasce nel 2005 quando Nessus passa da una licenza open source a una proprietaria. Le aziende Intevation e DN Systems prendono in mano il progetto già in corso per mantenerlo e svilupparlo con una licenza GPL v2.0. Da allora OpenVAS ha preso il nome di Greenbone, la soluzione di scansione e gestione delle vulnerabilità open source più conosciuta e usata al mondo. Con la Greenbone Community Edition offriamo una versione di gratuita per gli sviluppatori, di cui siamo molto orogliosi. Inoltre, abbiamo creato una una gamma di soluzioni aziendali a pagamento che confluiscono nel Greenbone Enterprise Feed per il settore pubblico e privato.

Greenbone è pioniere del settore della cybersecurity e pur conoscendo le tattiche di marketing di alcune aziende di cybersecurity resta fedele ai propri obiettivi: condividere informazioni veritiere sui suoi prodotti e su quello che i suoi vulnerability test sono veramente in grado di fare. Non nascondiamo che siamo rimasti molto sorpresi quando abbiamo letto un report di benchmark (in inglese) pubblicato nel 2024 dalla concorrenza, in cui venivano presi in esame i principali scanner di vulnerabilità.

Greenbone è un sistema di scansione delle vulnerabilità open source conosciuto in tutto il mondo; quindi, va da sé che fosse stato incluso nell’elenco dei migliori. Tuttavia, anche se ci ha fatto piacere essere presi in considerazione per il test, alcune informazioni riportate ci hanno lasciati perplessi. Così abbiamo deciso di scrivere questo articolo per mettere alcune cose in chiaro ed esaminare i vari punti nel dettaglio.

I risultati del report di benchmark 2024

Il report di benchmark 2024 a cura di Pentest-Tools ha stilato una classifica dei principali sistemi di scansione delle vulnerabilità in base a due criteri: Detection Availability (disponibilità di rilevamento), cioè i CVE individuati da ogni sistema con appositi test, e Detection Accuracy (accuratezza di rilevamento), ovvero il grado di efficacia di questi test.

Il report ha messo a confronto la Community Edition gratuita di Greenbone e il Greenbone Community Feed con prodotti aziendali di altri fornitori: Qualys, Rapid7, Tenable, Nuclei, Nmap e il prodotto offerto da Pentest-Tools. Greenbone ha conquistato il 5° posto per Detection Availability e si è avvicinata al 4° per Detection Accuracy. Tutto sommato non male rispetto ai giganti del settore della cybersicurezza.

L’unico problema è che, come abbiamo detto prima, anche Greenbone offre un prodotto aziendale, che è stato escluso dalla classifica. Eseguendo il confronto con Greenbone Enterprise Feed invece che con la versione gratuita, Greenbone vince davvero a mani basse.

Ecco come stanno le cose veramente

Grafico a barre del benchmark 2024 dei sistemi di scansione delle vulnerabilità di rete: Greenbone Enterprise al primo posto per disponibilità e accuratezza di rilevamento, rispetto a strumenti come Pentest-Tools, Nessus, Rapid7, Qualys, Nmap, Nuclei e Greenbone Community.

Greenbone Enterprise è in testa alla classifica dei sistemi di scansione delle vulnerabilità.

 

Enterprise Feed è in testa alla classifica nell’ambito Detection Availability

I risultati delle nostre ricerche, che possono essere verificati nel nostro SecInfo Portal, indicano che Greenbone Enterprise Feed ha test di individuazione per 129 dei 164 CVE compresi nel test. Questo significa che la Detection Availability del nostro prodotto Enterprise supera addirittura del 70,5% quanto riportato nel resto, facendoci balzare nettamente in testa alla classifica.

Ci teniamo a chiarire che non abbiamo aggiunto i test di Greenbone Enterprise Feed dopo l’uscita del report. Greenbone aggiorna i Community ed Enterprise Feed ogni giorno e spesso siamo i primi a rilasciare test di vulnerabilità quando viene pubblicato un CVE. Un’analisi della nostra copertura dei test di vulnerabilità dimostra che questi sono sempre stati disponibili.

La nostra Detection Accuracy è stata ampiamente sottovalutata

C’è un altro aspetto da considerare: Greenbone è diverso dagli altri sistemi di scansione. Il modo con cui è progettato gli procura i vantaggi che lo rendono una delle soluzioni più apprezzate nel settore. Ad esempio, il nostro sistema di scansione si può controllare tramite API, così gli utenti possono sviluppare i propri tool e gestire tutte le funzionalità di Greenbone come preferiscono. Inoltre, noi usiamo il filtro Quality of Detection (QoD, qualità di rilevamento) che non esiste nella maggior parte dei sistemi di scansione delle vulnerabilità.

Chi ha compilato il report ha indicato di aver semplicemente utilizzato la configurazione predefinita di ogni sistema. Ma dato che il filtro QoD Greenbone non è stato applicato in modo corretto, il test di confronto non ha valutato in maniera equa il vero livello di rilevamento CVE di Greenbone. Tenendo in considerazione questi aspetti, Greenbone conquista di nuovo la classifica, con una stima di 112 CVE su 164.

Per ricapitolare

Ci fa molto piacere che Greenbone Community Edition sia arrivato al 5° posto per Detection Availability e a un passo dal 4° per Detection Accuracy in un confronto pubblicato nel 2024 sui sistemi di scansione delle vulnerabilità delle reti, ma questi risultati non tengono conto delle reali capacità di Greenbone Enterprise Feed. A rigor di logica, nell’elenco sarebbe dovuto comparire il nostro prodotto Enterprise. La classifica, infatti, comprendeva soluzioni aziendali di altri fornitori, non prodotti gratuiti come la nostra Community Edition.

Ricalcolata la Detection Availability di Greenbone alla luce di Enterprise Feed, questa arriva a 129 CVE sui 164 testati e supera del 70,5% il risultato precedente. Inoltre, le impostazioni predefinite non tengono conto della funzionalità Quality of Detection (QoD, qualità di rilevamento) di Greenbone. Se si tiene conto di queste imprecisioni, Greenbone conquista il gradino più alto del podio. È il sistema di scansione della vulnerabilità open source più utilizzato al mondo e continua a essere il migliore per copertura delle vulnerabilità, pubblicazione rapida dei test di vulnerabilità e vere e proprie funzionalità di livello aziendale, come architettura API flessibile, filtri avanzati e punteggi QoD.

In che modo l’intelligenza artificiale (AI) sta trasformando la sicurezza informatica? Questa tecnologia renderà il mondo digitale più sicuro o lo esporrà a nuovi rischi? Questi interrogativi sono stati al centro di una stimolante discussione alla “Conferenza di Potsdam per la Sicurezza Informatica Nazionale 2024”. Ho avuto il privilegio di esplorarli insieme alla Prof.ssa Sandra Wachter, al Dr. Kim Nguyen e al Dr. Sven Herpig. L’IA mantiene le promesse? E, soprattutto, quali sviluppi possiamo aspettarci dal futuro??

Quattro esperti discutono in un panel della Conferenza di Potsdam sulla sicurezza informatica nazionale 2024 presso l'Hasso-Plattner-Institut delle opportunità e dei rischi dell'intelligenza artificiale nella cybersicurezza.
La cybersecurity è già di per sé una sfida complessa per aziende e istituzioni. L’introduzione dell’intelligenza artificiale (AI) la renderà più pericolosa o contribuirà a una protezione più efficace dei sistemi IT? Cosa sappiamo al riguardo? Quali sono le questioni principali da considerare? Le opportunità economiche e i rischi sociali legati all’AI sono al centro dell’attenzione pubblica e delle normative in fase di sviluppo. La legge sull’intelligenza artificiale dell’UE riflette sia le speranze che i timori associati a questa tecnologia emergente.

Speranze e paure legate all’intelligenza artificiale

Le speranze legate all’intelligenza artificiale includono la possibilità di risolvere sfide tecniche precedentemente irrisolvibili, accelerando i processi aziendali e produttivi e consentendo alle macchine di gestire autonomamente compiti sempre più complessi. In ambito militare, l’IA ha il potenziale di offrire protezioni uniche, salvando vite umane attraverso sistemi di difesa avanzati come l’Iron Dome, che utilizzano l’intelligenza artificiale per rilevare e neutralizzare minacce in tempo reale.

D’altra parte, l’IA presenta un lato oscuro fatto di minacce come la manipolazione di massa tramite deepfake, attacchi di phishing sempre più sofisticati oltre al timore che possa rubare posti di lavoro, tipica di ogni innovazione tecnologica. I chatbot stanno sostituendo gli operatori di servizio, i generatori di immagini stanno rimpiazzando i fotografi e i grafici, i generatori di testo mettono alla prova giornalisti e autori, mentre la musica generata dall’IA mette in ombra musicisti e compositori. In quasi tutte le professioni emerge il timore di essere rimpiazzati, persino nel settore IT, un tempo sinonimo di opportunità lavorative abbondanti e sicure. Queste paure, seppur spesso giustificate, a volte si rivelano esagerate o infondate.

Nell’ambito della cybersecurity resta incerto quanto l’IA possa effettivamente migliorare la sicurezza e sostituire gli esperti o le soluzioni esistenti. Questa incertezza riguarda sia gli aggressori che i difensori. La disparità è evidente: i difensori devono colmare il maggior numero possibile di lacune, mentre agli aggressori basta una sola vulnerabilità per sferrare un attacco efficace. Fortunatamente, i difensori possono affidarsi a strumenti che automatizzano molte attività, indispensabili per fronteggiare le minacce. Tuttavia, l’IA non fornisce ancora un supporto adeguato, come dimostrano i danni crescenti causati da attacchi informatici tradizionali, nonostante l’adozione di difese basate sull’IA. Parallelamente, cresce la percezione che l’IA stia rendendo gli aggressori sempre più potenti e minacciosi.

Per migliorare la sicurezza informatica, dobbiamo approfondire l’analisi e ottenere una visione più chiara e dettagliata dei fatti.

A che punto siamo oggi?

Finora non sappiamo nulla di attacchi informatici tecnici generati dall’intelligenza artificiale. Attualmente, non ci sono casi rilevanti e verificabili, solo scenari teoricamente costruiti. La situazione potrebbe cambiare, ma la situazione attuale è questa. Al momento, non conosciamo alcuna IA in grado di generare attacchi sufficientemente sofisticati. Sappiamo, però, che il phishing è molto facile da implementare con modelli linguistici generativi e che e-mail di spam e phishing risultano più abili, almeno aneddoticamente. Non sappiamo se questo causa più danni rispetto al già considerevole impatto attuale. Attualmente la situazione è già abbastanza grave, anche senza IA. Tuttavia, il phishing è solo il primo passo per accedere a una vulnerabilità.

Elmar Geese, membro del consiglio di amministrazione di Greenbone, interviene alla Conferenza di Potsdam sulla sicurezza informatica nazionale 2024 presso l’Hasso-Plattner-Institut, parlando delle opportunità e dei rischi dell’intelligenza artificiale nella cybersicurezza.

Come proteggerci?

La buona notizia è che una vulnerabilità sfruttata può quasi sempre essere individuata e risolta in anticipo. Così, anche il miglior attacco basato su IA generativa non porterebbe a nulla. Ed è così che bisogna fare. Perché, se oggi sono minacciato da un attacco convenzionale o domani dall’intelligenza artificiale nella mia rete, una vulnerabilità nel software o nella configurazione di sicurezza sarà comunque sempre necessaria affinché l’attacco abbia successo. Due strategie offrono quindi la migliore protezione: in primo luogo, essere preparati al peggio, per esempio grazie a backup e la capacità di ripristinare tempestivamente i sistemi. La seconda è individuare le lacune ogni giorno e chiuderle prima che possano essere sfruttate. Una regola empirica semplice: ogni lacuna esistente può e sarà sfruttata. 

Ruolo e caratteristiche dell’IA

I sistemi di intelligenza artificiale sono di per sé ottimi bersagli per gli attacchi. Proprio come Internet, non sono stati progettati pensando alla “sicurezza by design”. Sono semplici software e hardware, proprio come qualsiasi altro sistema. La differenza principale è che, a differenza dei sistemi IT convenzionali, la cui funzionalità può essere compresa con uno sforzo adeguato, i sistemi AI non possono essere “rattoppati” come durante un intervento chirurgico. Se un modello linguistico non sa cosa fare, non genera uno stato o un messaggio di errore, ma ha le “allucinazioni”. Tuttavia, “avere le allucinazioni” è solo un termine figurato per descrivere situazioni in cui il sistema mente, indovina, inventa o compie azioni strane. Questo tipo di errore non può essere corretto facilmente, ma richiede una riqualificazione del sistema, spesso senza una causa chiara dell’errore stesso.

Se l’errore è evidente e l’IA confonde ad esempio i cani con i pesci, è relativamente facile riconoscere il problema. Tuttavia, se l’IA deve determinare la probabilità di aver rilevato un’anomalia pericolosa o innocua, ad esempio su un’immagine a raggi X, la situazione diventa più complessa. Non è raro che i prodotti basati su IA vengano ritirati perché l’errore non è correggibile. Un esempio significativo è stato Tay, una chatbot lanciata da Microsoft, il cui tentativo di uso è fallito due volte.

Cosa possiamo imparare da tutto questo? Ridurre le aspettative, concentrandosi su funzioni di IA semplici e ben definite, è spesso la chiave per ottenere risultati concreti. Ecco perché molte applicazioni di intelligenza artificiale che stanno arrivando sul mercato oggi sono destinate a rimanere. Sono piccoli assistenti utili che velocizzano i processi. Forse, presto, saranno in grado di guidare le auto in modo davvero sicuro ed efficiente. O forse no.

Ridisegnare il futuro grazie all’AI

Molte applicazioni di intelligenza artificiale oggi sono veramente impressionanti. Tuttavia, possono essere sviluppate per essere utilizzate in settori critici solo con un grande sforzo e specializzazione. Un esempio è l’Iron Dome, che funziona solo grazie a oltre dieci anni di lavoro di sviluppo. Oggi riconosce i missili con una probabilità del 99% e li abbatte – evitando di colpire oggetti civili – prima che possano causare danni. Per questo motivo, l’IA viene utilizzata principalmente per supportare i sistemi esistenti, piuttosto che operare in modo completamente autonomo. Anche se, come promesso dalla pubblicità, può scrivere e-mail meglio di quanto possiamo o vogliamo fare noi stessi, nessuno oggi sarebbe disposto a delegare completamente la gestione della propria corrispondenza, delle caselle di posta in arrivo e di altri canali di comunicazione a un’IA che si occupa di tutto, limitandosi a informarci solo delle questioni rilevanti con un riepilogo.

Che cosa accadrà a noi in un futuro non troppo lontano? Probabilmente non possiamo saperlo. Succederà davvero? Non lo sappiamo. Quando, forse, quel momento arriverà, i robot si scambieranno messaggi, combatteranno le nostre guerre l’uno contro l’altro e gli attaccanti e difensori informatici basati sull’IA si sfideranno. Quando si renderanno conto che ciò che stanno facendo è inutile, potrebbero chiedersi che tipo di esseri li hanno programmati per farlo. A quel punto, forse si fermeranno, stabiliranno linee di comunicazione, lasceranno la nostra galassia e ci lasceranno indifesi. Almeno, però, avremo ancora il nostro “atto di intelligenza artificiale” e continueremo a regolare quella “IA debole” che non ce l’ha fatta.